top of page

Mater dolorosa (1917), Abel Gance

  • Immagine del redattore: Vittorio Renzi
    Vittorio Renzi
  • 3 dic 2017
  • Tempo di lettura: 6 min

Garden of Silence - Mater dolorosa 1917

SINOSSI: Una bella donna, Marthe (Emmy Lynn), è annoiata dal marito, Gilles Berliac (Firmin Gémier), pediatra rinomato, costantemente occupato con i suoi pazienti. Alla fine, scrive una lettera al suo giovane cognato e scrittore di talento, Claude (Armand Tallier), proponendogli di fuggire insieme. Ma Claude rifiuta. Marthe allora minaccia di suicidarsi davanti a lui con una pistola; Claude tenta di disarmarla e parte un colpo che lo ferisce gravemente. Il giovane, prima di morire, riesce scrivere una breve lettera in cui dichiara di volersi uccidere, in modo da scagionare Marthe. Passano tre anni e Marthe ha avuto un bambino, Pierre. Ma all’improvviso giunge la notizia che un individuo senza scrupoli, Jean Dormis (Paul Vermoyal), ha trovato in un libro del defunto Claude Berliac una lettera compromettente scritta da Marthe e così la ricatta. La lettera cade poi nelle mani del dottor Berliac che, senza sapere chi fosse l’amante della moglie, inizia però a sospettare che il bambino non sia suo. Nella sua gelosia rabbiosa, porta via il bambino in una casa di periferia di Parigi e lo tiene nascosto a sua madre: lei non potrà più vederlo fin quando non confesserà il nome del suo amante. Ma un giorno il piccolo Pierre si ammala. Nonostante le suppliche di Marthe, Emile non le rivela nulla sullo stato di salute del figlio. Sopraffatta dal dolore, la donna chiede almeno di sapere se il figlio è ancora vivo. Dopodiché parlerà. Gilles, commosso da tutta quella sofferenza, decide di perdonarla e la conduce dal figlio, oramai perfettamente guarito.


Mater dolorosa è uno dei primi lungometraggi di Gance, e quello con cui riscontrò il primo grande successo. E’ anche uno dei primi e più importanti esempi di melodramma d’autore francese, ovvero di quel particolare crocevia fra quello che era uno dei generi più popolari e convenzionali, al cinema come a teatro, e le più avanzate idee tecnico-stilistiche che di lì a poco avrebbero trovato pieno interesse e formulazioni teoriche (come quella della fotogenia) presso registi autori come Luis Delluc, Jean Epstein e Germaine Dulac. Questo accadeva perché “le figure dell’eccesso che contraddistinguono il genere possono essere facilmente tradotte in sperimentazioni di montaggio e di composizione” e, di conseguenza, “proprio la convenzionalità del tema funziona come utile pretesto per il progetto modernista di ‘ricerca’, volta a realizzare le potenzialità del cinema come nuovo linguaggio visivo”. (1)

Se la figura di Abel Gance fu un po’ quella del padre per questa nuova generazione di cineasti, il suo Mater dolorosa fu tra i capostipiti di quello che in seguito sarebbe stato definito impressionismo francese. Tuttavia è opportuno precisare che, a differenza di un L'Herbier, la forma del melodramma non era approcciata da Gance in maniera fredda o comunque distaccata, tutt'altro: quel genere, derivato dal teatro borghese, era per lui un'occasione per un'indagine psicologica dei personaggi e per veicolare messaggi universali, come si evince dalla sua ambizione negli anni successivi di voler dare l'avvio a un cinema francese epico e popolare, all'interno del quale il melodramma continuò ad occupare un posto d'onore.


Gance era solito rimontare o sonorizzare i suoi film a seconda del particolare momento o anche a seconda del Paese in cui veniva esportato il film. Di Mater Dolorosa – come di J’accuse (1919) e Napoléon (1927) - esistono quindi più versioni. In questo caso poi egli girò anche un remake sonoro con lo stesso titolo, nel 1933, nel quale cambiano non solo gli attori ma anche i nomi dei personaggi e viene attutito lo scandalo della relazione adulterina di Marthe, in quanto lo scrittore non è più il fratello del marito, bensì un amico. Rispetto ai kolossal degli anni immediatamente successivi, che gli portarono la fama internazionale, qui Gance lavora su un soggetto, scritto da lui stesso, che prevede pochi personaggi e pochi avvenimenti, concentrando la propria attenzione sulla composizione del quadro e sulla fotografia. Per quanto riguarda l’aspetto tematico, è interessante notare come il triangolo amoroso che oppone due uomini a una donna – abusatissimo nel genere melodrammatico, quasi paradigmatico – sia declinato in un rapporto molto particolare fra i due rivali: essi sono opposti nel fisico e nel carattere (brutale e/o pragmatico l'uno, fragile e/o artista l'altro), ma nessuno dei due è il “cattivo” da eliminare per riunire la coppia felice. Anzi, in questo caso la morte di Claude, che avviene molto presto, permane sotto forma di assenza e di colpa nell'orizzonte emotivo di Marthe, e aleggia come una minaccia per Giles che, pur non conoscendo l’identità dell’amante della donna, giunge a sospettare della propria paternità. Simili traiettorie relazionali si ritroveranno, seppur con delle varianti, tanto in J’accuse e in La roue (La rosa sulle rotaie, 1923), quanto nel primo film sonoro di Gance, La fin du monde (La fine del mondo, 1931).


Rispetto alle regie ben più dinamiche o al montaggio a volte convulso dei capolavori successivi, qui a predominare è la particolare cura pittorica e atmosferica con cui il cineasta parigino immerge i suoi personaggi in morbidi chiaroscuri, o li lascia emergere o inghiottire dal buio, li riduce a silhouette disegnate contro su una vetrata sullo sfondo. Come avviene nella bellissima sequenza in casa dello scrittore Claude, nel dialogo sofferto fra lui e Marthe, poco prima che il dramma si muti in tragedia. Oppure vela i tratti degli attori con tende semitrasparenti, come nella scena in cui Marthe e il marito, Gilles, appaiono per la prima volta sorridenti e felici insieme, uniti dal loro amore per il piccolo Pierre. Altre scene si concentrano su ambienti vuoti o oggetti che ugualmente sono deputati a esprimere lo stato d’animo di un personaggio, come nel caso del velo nero lasciato cadere a terra da Marthe dopo che il marito le ha sottratto il figlio. Dunque si tratta di “un nuovo uso della natura morta, un efficace uso degli oggetti scenici, come la caduta di un velo sul pavimento”, come si espresse Colette in una recensione piuttosto entusiastica del film:


Convenite con me, che ci godo tanto, che l’azione si evolve in mezzo a luci di una ricchezza rara, a dei bianchi dorati, dei neri grassi e profondi; conservo anche nella mia memoria certi primi piani scuri, dove la testa parlante e supplicante della signora Emmy Lynn galleggia come un fiore reciso. (2)


Poche le scene che suonano un po’ gratuite e leziose, come quella del bambino a cavallo del Pony, dentro casa, dopo che avevamo già visto in precedenza un primo piano a due, il bambino e l’animale, di profilo, davanti a una fontana. Di fatto, uno dei pregi di Mater Dolorosa, rispetto ad altri film di Gance, è proprio la poca dispersione e anzi l’estrema concentrazione, non tanto sulla vicenda in sé quanto sui sentimenti dei personaggi, e in particolare quello di Marthe, ritratta in innumerevoli primi e primissimi piani.

In almeno due scene esemplari, Gance utilizza il montaggio in funzione “impressionistica” e diremmo musicale. Nel primo caso nella scena in cui Gilles, sprofondato in una poltrona, affranto, ripensa ai bei momenti felici vissuti con la moglie in quegli ultimi anni, momenti che sono riproposti a mo’ di refrain in immagini che, sol senno di poi, comprendiamo essere già immagini-memoria sin dal loro primo apparire (la citata sequenza dei due sorridenti velati da una tenda). Alla figura di Gilles e alle immagini—ricordo si alternano anche le inquadrature che ritraggono Marthe, sola, in preda a un profondo turbamento per l’assenza del figlio, di modo che entrambi, marito e moglie, separati dallo spazio e dai loro contrapposti sentimenti, ci appaiono in qualche modo ancora uniti da ricordi condivisi che li dilaniano.


L’altra sequenza simile, giocata però solo su Marthe, è quando la donna si reca all'ospedale per cercare Pierre. La vediamo avanzare e poi fermarsi, lasciando vagare gli occhi tra i lettini occupati da altri bambini, che a volte scambia per suo figlio. Gance alterna questa inquadratura in campo medio con dei primi piani stretti da mascherino, in cui il primo piano di Marthe viene astratto dal suo ambiente, poiché lo sfondo della scenografia è sostituito da uno neutro. In tal modo la sequenza viene fortemente soggettivizzata facendo del primo piano quello strumento che Epstein indicava come espressione dell’”anima del cinema”, o anche “dramma in presa diretta” (3). La raffinatezza del découpage di Gance sta proprio nello scegliere il momento giusto per un primo piano, in modo che esso non tanto esprima il culmine emotivo di un personaggio, bensì generi il culmine emotivo nello spettatore.

La penultima sequenza, in cui Gilles conduce con sé la moglie in macchina, asserendo che la sta portando dal figlio – ma lei non sa ancora se sia vivo o morto – è girata col camera-car e sembra anticipare i momenti più dinamici e Nell'alternarsi di campo-controcampo che mostra Marthe in macchina che guarda fuori e il paesaggio che scorre di lato, la scena tocca il suo culmine quando appaiono le croci di un cimitero e Marthe, inorridita al pensiero che il figlio si trovi sotto una di quelle lapidi, istintivamente tende un braccio in avanti con la mano aperta, come per cancellare quell'orrenda visione. Ma la macchina prosegue la sua corsa: non era il cimitero la meta.




Mater dolorosa a.k.a. Desiderata / The Torture of Silence

Francia, 1917

regia e sceneggiatura: Abel Gance

fotografia: Léonce-Henri Burel

produzione: Louis Nalpas, per Le Film d’Art

durata: 70’ (5 rulli, 1510 m)

cast: Emmy Lynn, Firmin Gémier, Armand Tallier,

Anthony Gildès, Paul Vermoyal, Gaston Modot

première: 7 marzo 1917

(1) Richard Abel, Il cinema francese verso un mutamente paradigmatico, 1915-29, in Gian Piero Brunetta, Storia del cinema mondiale III. L’Europa. Le cinematografie nazionali, Torino, Einaudi, 2000, tomo primo, pp. 303 e 304.

(2) Colette, “Le Film”, 4 giugno 1917, in Paola Palma, La vagabonda dello schermo. Colette e il cinema, Padova, Esedra Editrice, 2015

(3) Jean Epstein, Bonjour cinéma, Paris, Editions de la Sirène, 1921, in L’essenza del cinema, Biblioteca di Bianco & Nero, 2002, pp. 30 e 32.


 
 
 

Commenti


Featured Posts
Recent Posts
bottom of page