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Harakiri (1919), Fritz Lang

  • Immagine del redattore: Vittorio Renzi
    Vittorio Renzi
  • 16 mar 2016
  • Tempo di lettura: 6 min

Garden of Silence - Harakiri

SINOSSI: O-Take-san (Lil Dagover), figlia del Daimyo Tokuyawa (Paul Biensfeldt), rifiuta di diventare una monaca, come vorrebbe il bonzo del tempio buddista (Georg John). Per vendicarsi, il bonzo fa accusare il padre della ragazza di alto tradimento, costringendolo a fare seppuku. Mentre si trova nella Foresta Sacra del tempio, O-Take-san fa la conoscenza di un ufficiale di marina danese, Olaf Jens Anderson (Niels Prien), di cui s’innamora. Ma il Bonzo la rinchiude in una caverna. Un servitore del tempio, Karan (Rudolf Lettinger), la libera ma solo per condurla in una casa da tè a Yoshiwara, il quartiere delle geishe, in modo da trarre profitto da lei. Ma proprio qui l’ufficiale di marina la ritrova e i due decidono di sposarsi con rito giapponese, secondo il quale lui può sposarla per 999 giorni, col diritto di divorziare da lei in ogni momento. Dopo appena un anno, l’uomo lascia il Giappone per tornare in patria, dove si sposa con un'altra donna. Nel frattempo, dalla relazione tra O-Take e Olaf nasce un bambino. Il principe Matahari (Meinhart Maur) si offre di sposarla, ma O-Take rifiuta, sicura che Anderson tornerà da lei. Quando l’uomo torna in Giappone anni dopo, assieme alla nuova moglie, Eva (Herta Heden), O-Take-san rimane sgomenta dal fatto che lui non si rechi neanche a trovarla. Il matrimonio giapponese fra loro è ormai scaduto, lei dovrà tornare alla casa da tè e suo figlio sarà affidato alle cure dello Stato. Eva si offre di prendersi cura del bambino, ma O-Take-san afferma risoluta che lo darebbe solo a suo padre in persona. Proprio mentre Olaf, finalmente, si convince ad andare a trovarla, O-Take-san si suicida facendo seppuku con la stessa lama usata da suo padre.


Il film, più che al romanzo di grande successo di Pierre Loti, Madame Chrysanthème (1888), pubblicato in pieno Giapponismo, si ispira all'opera di Puccini, la cui prima, avvenuta alla Scala di Milano solo quindici anni prima, nel 1904, era stata in verità un fiasco colossale. Ripresentata successivamente con alcune progressive variazioni, fu accolta in trionfo e da allora ebbe vasta risonanza. Ma prima di giungere a Puccini, il racconto di Loti era passato attraverso diverse rielaborazioni. Nel 1894, di ritorno da un viaggio dal Giappone con l’amico Emile Guimet, il pittore e caricaturista Félix Régamey volle raccontare la vicenda, parzialmente autobiografica, narrata da Loti dal punto di vista di Chrysanthème. Nacque così Le Cahier Rose de Mme Chrysanthème, in forma di diario della stessa Chrysanthème, sedotta e abbandonata dall'uomo occidentale egoista (lo stesso Loti). Il romanzo di Loti ispirò anche il racconto di un avvocato e scrittore americano, John Luther Long, che è importante se non altro perché, per la prima volta, la protagonista femminile viene ribattezzata Butterfly. Madame Butterfly fu pubblicato nel 1898. Due anni dopo, Long, assieme all'impresario e regista teatrale David Belasco, trasformò il racconto nell'omonimo atto unico. E fu sotto questa forma che Puccini conobbe l’opera che ispirò la sua rappresentazione, su libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica. Al cinema, l’opera conobbe la sua prima trasposizione cinematografica già nel 1915, grazie alla newyorkese Famous Players Film Company: Madame Butterfly (1915), diretto da Sidney Olcott e interpretato nientemeno che da Mary Pickford e Marshall Neilan.


Considerato a lungo perduto, di Harakiri fu ritrovata una copia nel 1986 presso il Nederlands Filmmuseum sotto il titolo Madame Butterfly - pensato probabilmente per l’esportazione in America - e prontamente restaurata dal Friedrich-Wilhelm-Murnau-Stiftung. Nonostante il restauro, i segni del deterioramento sono ancora vistosi e alcune scene risultano frammentate. Harakiri è il quarto film di Fritz Lang, e tutti e quattro questi film (i primi due sono andati perduti) sono stati girati nel 1919. Harakiri fu girato tra il primo e il secondo episodio di Die Spinnen (The Spiders, 1919). Lang era stato appena promosso alla regia dal produttore della Decla, Erich Pommer, il quale gli andava affidando via via diversi progetti, tutti miranti a rendere il cinema tedesco forte e rappresentativo sul mercato, anche quello statunitense. Lang si ritrova così a realizzare soggetti molto diversi fra loro: dai film d’avventura, i suoi preferiti, quelli in cui lascerà più forte il suo marchio, ai melodrammi, che erano meno nelle sue corde, ma nei quali in ogni caso riversa tutta l’attenzione e il perfezionismo che lo contraddistinguono. Come in questo caso dove, quantomeno, ritroviamo uno dei caratteri dominanti dell’universo langhiano, ovvero l’ambientazione esotica. Se è vero infatti che Harakiri ha un ritmo assai lento e solenne, rispetto a un qualsiasi altro film langhiano, è altresì vero che è il soggetto stesso a richiederlo. Lang era entrato nel mondo del cinema in veste di sceneggiatore, prima di film alcuni film di altri, fra cui Joe May, poi di se stesso. Lo scenario fu di Harakiri fu scritto da Max Jungk, sceneggiatore ricorrente di vari registi tedeschi oggi poco noti e, occasionalmente, di Ewald André Dupont. Quella con Lang fu la loro prima e ultima collaborazione, dal momento che ben presto, nella vita privata e artistica di Lang, sarebbe comparsa Thea Von Harbou.


Scenografie, costumi, acconciature, tutto il profilmico è messo in scena con grande accuratezza e sensibilità. Non vi è ombra di caricatura nel tratteggiare la cultura giapponese, che Lang conosceva di prima mano, essendosi recato nel Paese del Sol Levante durante il suo periodo giovanile di viaggi all’estero. Girato nei Paesi Bassi, Harakiri è, secondo Ciment, “un esempio di film d’arte col suo senso pittorico ispirato dal giapponismo in voga, così come da Gustav Klimt e Kolo Moser e la sua ambizione a rivaleggiare col teatro e l’opera”. (1)

Lotte Eisner, che nel 1978, all’epoca dell’uscita della sua monografia su Lang non aveva avuto modo di vedere il film, considerato ancora perduto, riportò alcune recensioni tedesche al film piuttosto lusinghiere, che lodarono appunto l’uso poetico degli interni e della natura, certi giochi di luce, la rappresentazione delle festività locali e l’utilizzo di comparse giapponesi che conferiscono un sapore di verosimiglianza al racconto. Inoltre, come nel caso di Die Spinnen (I ragni, 1919-20), costumi e decorazioni furono forniti grazie alla consulenza di Umlauff, direttore del Museo Etnografico di Amburgo. (2)

Ma soprattutto Lang e lo sceneggiatore Jungk, andando oltre il nucleo del melodramma amoroso, riescono a inserire la narrazione nell'affascinante cornice di un mondo lontano che, seppur ricreato in Olanda, appare credibile e tanto più affascinante quanto più ancora largamente ignoto nell'immaginario europeo e occidentale, se non per tramite dell’arte figurativa e dei resoconti di viaggio. Harakiri, insomma, grazie all'accuratezza con cui vengono rappresentate la vita e la cultura di quel paese, si poneva, con tutti i suoi limiti, come una finestra sul Giappone, e questo decenni prima che sui nostri schermi appaiano i primi film giapponesi.


Alcune grandi differenze rispetto all'opera pucciniana: innanzitutto i nomi, che cambiano da Ciò Ciò San e Pinkerton a O-Take-san e Olaf Jens Anderson, il quale non è più un marinaio degli Stati Uniti, ma della flotta danese; il principe Yamadori, ubriacone e plurimaritato, diventa Matahari (!), un uomo dolce e gentile che sembra avere sinceramente a cuore O-Take-San; infine, la cameriera Suzuki diventa Hanake. Del tutto trascurabile, infine, la presenza del console amico di Anderson, che nell'opera è invece molto presente; viceversa, nel film si fanno presenti e pressanti le due figure odiose del bonzo e del suo servitore. Dal punto di vista della struttura del racconto, la differenza più rilevante è il fatto che il film lo presenti in ordine cronologico, laddove l’opera inizia in medias res, con i preparativi del matrimonio fra i due protagonisti, per far poi emergere, a poco a poco, alcuni eventi passati, come la morte del padre di Butterfly/O-Take-San o, solo nell'ultimo atto, il fatto che Pinkerton/Anderson si sia risposato. Se dunque la struttura del film, così piana, appare meno efficace e suggestiva dal punto di vista drammatico, è però interessante come questa scelta influisca sulla recitazione, che è tutt'altro che enfatica, come ci si aspetterebbe da un melodramma, ma composta e trattenuta. La celebre aria Un bel di’ vedremo lascia il posto, nel film di Lang, ad una ripresa, poi ripetuta, in cui O-Take-San, in riva al mare, fissa malinconica l’orizzonte, nella speranzosa attesa dell’arrivo della nave del suo amato. In secondo luogo, la narrazione cronologica mette in risalto come prologo ed epilogo siano simmetricamente segnati da un suicidio, mediante seppuku (termine afferente alla forma scritta, così come harakiri, che dà il titolo al film, deriva dalla forma parlata).


Per una bizzarra e oscura coincidenza, soltanto un anno dopo la prima moglie di Lang, Lisa Rosenthal, si suicidò con una rivoltella dopo aver scoperto la relazione esistente fra suo marito e Thea Von Harbou. I due si sposarono l’anno successivo. Alcuni studiosi ritengono che l’angoscia per l’accaduto, protrattasi durante le indagini della polizia, abbiano segnato inevitabilmente l’animo di Lang, facendo emergere due nodi tematici presenti in tutto il suo lavoro successivo: la colpa e la morte, sempre in stretta correlazione con la polizia e la legge.

La storia di Madame Butterfly ispirò successivamente diverse trasposizioni cinematografiche. Fra le più rilevanti, The Toll of the Sea (1922), di Chester Franklin, con Anna May Wong e Kenneth Harlan; quella omonima del 1932, di Marion Gering, con Sylvia Sidney e Cary Grant; una versione italo-giapponese di Carmine Gallone, con Kaoru Yachigusa e Nicola Filacuridi, fino alla meravigliosa versione queer riletta da Cronenberg, M. Butterfly (1993).

Il film fu distribuito in Italia col titolo Karakiri.


Harakiri

a.k.a. Karakiri / Madame Butterfly

Germania, 1919

regia: Fritz Lang

soggetto: libretto Madame Butterfly di David Belasco e John Luther Long

sceneggiatura: Max Jungk

fotografia: Max Fassbender

scenografia: Heinrich Umlauff

produzione: Erich Pommer, per Decla-Film

durata: 87'

cast: Lil Dagover, Niels Prien, Georg John, Paul Biensfeldt, Mernhard-Maur, Rudolf Lettinger, Erner Hubsch, Kaete Juster, Herta Heden, Loni Nest

première: Berlino, 18 dicembre 1919

Silent Era

IMDb

Wikipedia

(1) Michel Ciment, Fritz Lang, le meurtre et la loi, Gallimard, 2003, p. 24

(2) Lotte Eisner, Fritz Lang, New York, Da Capo Paperback, 1976, pp. 25-28.





 
 
 

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